Può un libro cambiare la medicina? "La montagna magica" lo ha fatto
Questo numero lo scrivo avvinta dal chiuso morbo. Cioè relegata in casa dalla polmonite, trasformata in una specie di Oblomov con il computer. Quindi vi parlerò di Thomas Mann.
Thomas Mann: 1875 – 1955, premio Nobel per la letteratura nel 1929, era diventato famoso a meno di trent’anni per I Buddenbrook, che ho letto, e forse persino capito, a sedici anni perché a scuola ho avuto una brava insegnante di tedesco. Nel 1924 Mann ha pubblicato il suo libro più conosciuto che in italiano è stato a lungo tradotto come La montagna incantata (oggi è, più correttamente, La montagna magica, perché in tedesco è Der Zauberberg). L’ho letto a diciassette anni, questo invece, probabilmente, capendolo poco. Trent’anni dopo, ci riprovo.
La trama è la seguente: giovane ingegnere va a trovare il cugino in sanatorio e scopre di avere anche lui la tubercolosi, così finisce per restare lì sette anni. Per fortuna la compagnia è interessante, l’ingegnere si trova bene, e durante questi sette anni conversa e soprattutto ascolta.
Centrale nel libro è dunque la tubercolosi, malattia che all’epoca non aveva altre cure se non il riposo e l’attesa.
In realtà un’altra terapia c’era, e funzionava anche: era l’induzione di uno pneumotorace, cioè l’ingresso di aria nelle pleure per favorire il collasso del polmone malato. La tecnica era stata inventata nel 1882 dal medico milanese Carlo Forlanini (che era rimasto orfano di madre da bambino proprio per colpa della tubercolosi). Forlanini non ebbe il Premio Nobel, ma secondo Camillo Golgi lo avrebbe meritato: in questa fotografia è il medico con la barba bianca.
Dopo l’uscita di Der Zauberberg uscirono molti commenti scritti da medici su riviste mediche: il giornalista e critico letterario Malte Herwig ne ha raccolti una dozzina e ha commentato: “probabilmente nessun altro romanzo nella storia della letteratura ha attirato così tanta attenzione nella cerchia dei medici”. Perché?
Oggi diremmo che La montagna magica è fiction narrativa che impiega la medicina come materiale letterario, ma la domanda è la stessa di allora: che effetti ha un romanzo come La montagna magica sulla percezione pubblica della malattia?
Perché La montagna magica parla di un tema complesso che solo per i medici di allora era secondario a quello tecnico scientifico: qui abbiamo un romanzo scritto negli anni Venti del secolo scorso a proposito di una malattia che richiedeva l’isolamento del malato da parte delle autorità sanitarie e la sua istituzionalizzazione per periodi di tempo lunghissimi (se uno poteva permetterseli). E abbiamo il primo romanzo che ha mostrato come i libri che raccontano la malattia possano iniettare nel pensiero e nella pratica medica un correttivo umanistico o almeno umano.
Peraltro, La montagna magica era probabilmente il primo libro che parlava così a lungo e con così tanta precisione di una singola malattia. Ma Thomas Mann si era preparato: aveva frequentato ospedali, sale operatorie, ambulatori (pare che a volte, con soddisfazione, indossasse addirittura il camice). Aveva letto la letteratura scientifica, intervistato medici. Voleva che il suo libro fosse realistico, e trattava la medicina con grande rispetto.
Per questo quando ha visto tanta attenzione da parte del mondo medico verso il suo romanzo deve aver rizzato le orecchie.
La maggior parte dei commenti dei medici era critica: i medici apparivano offesi dai toni pungenti, a volte beffardi, che Mann aveva usato per descrivere la vita in sanatorio, una vita oziosa da ricchi, e per i ritratti del personale che i medici trovavano irrispettosi, per qualcuno addirittura incitamenti all’ostilità verso la categoria. Va notato anche che la maggior parte di questi commenti si soffermava sui dettagli, sulle descrizioni e sul lessico, e sui personaggi, perciò non focalizzava il contenuto simbolico del libro, che invece per Mann era fondamentale (ci sarebbe tutto un discorso da fare sulla metafora politica eccetera). Insomma: non erano critiche letterarie, erano puntiglio da lesa maestà.
Il critico letterario tedesco usa toni più accademici di me: “il netto rifiuto dell'inquadramento di Mann della tubercolosi deve quindi essere visto nel contesto del controllo sociale e professionale di cui sopra: era un tentativo di affermare l'autorità della categoria medica sulla definizione di malattia contro definizioni alternative come quelle offerte dalla letteratura d’invenzione”.
“Sono l’eroina di me stessa”, scrisse sul suo diario la pittrice ucraina (o russa, mi è diventato impossibile capirlo) Marie Bashkirtseff, qui sopra in un autoritratto del 1882. Bashkirtseff non ebbe in vita il successo che avrebbe meritato, forse anche perché morì a nemmeno 25 anni. Femminista, è famosa anche per aver scritto: “Amiamo i cani, amiamo solo i cani! Uomini e gatti sono creature indegne”. Di lei oggi è soprattutto famoso il diario. Ah: Bashkirtseff è citata anche da Susan Sontag a proposito di rappresentazioni della tubercolosi.
Mann sentì di dover rispondere e pubblicò una lettera aperta dal titolo Vom Geist der Medizin (Sullo spirito della medicina) sulla rivista medica tedesca Deutsche Medizinische Wochenschrift, che era tra le riviste su cui i medici avevano pubblicato le proprie critiche. E lì scrisse che la sua opera, ebbene sì, aveva un obiettivo “medico”: “Tra le mie possibilità interiori c'è sempre stata quella di un’esistenza medica”. E poi, tanto sicuro da risultare candido, scrisse che è, più o meno, solo questione di tempo ma non esclude di ricevere, per la sua opera, una laurea honoris causa in medicina.
“Perché questo libro, che ha l'ambizione di essere un libro europeo, è il libro di buona volontà e di decisione, un libro di rinuncia ideale a molto di ciò che si è amato, a molte pericolose simpatie, incanti e seduzioni a cui l'anima europea era ed è incline e che, tutto sommato, porta solo un nome pio e maestoso - un libro di addio, dico, e di autodisciplina pedagogica; il suo compito è un servizio alla vita, la sua volontà è la salute, il suo obiettivo è il futuro. Questo lo rende medico".
Mann aveva in mente un progetto di letteratura al servizio della vita, in termini concreti.
E poi forse quei medici stavano esagerando. Alla sua traduttrice in inglese Helen Lowe-Porter, in una lettera del gennaio 1927 Mann raccontò di un turista inglese che arrivato a Davos chiese del sanatorio del “dottor Mann”. Cosa che lui definì “rincuorante”. Poi c’è da dire che il tono beffardo delle descrizioni dei medici lo si riconosce anche nelle descrizioni dei pazienti e di come passano il tempo.
Ma soprattutto altri medici avevano invece apprezzato il libro e ne riconoscevano il valore per la cultura medica. Per esempio Margarete Levy (di cui non sono riuscita a trovare abbastanza informazioni attendibili) scrisse su Deutsche Medizinische Wochenschrift che il romanzo mostrava ai medici la necessità di curarsi come degli aspetti fisici anche degli aspetti psicologici della malattia e della cura, e che non c’era ragione per non vederlo come uno stimolo alla riflessione e al miglioramento.
Tra chi la pensava come lei, qualcuno
cominciò a parlare di “malattia della montagna incantata” per indicare gli effetti di un lungo ricovero sulla psiche del paziente e sul proprio modo di vedere la tubercolosi e sé stesso, fino a rendere impossibile la guarigione. Come succede al protagonista. Fino a sospendersi in uno stato incantato, anzi, meglio, magico, di identificazione con la propria malattia.
Oggi la tubercolosi si cura e Thomas Mann è uno degli autori più celebrati e citati nella comunità medico scientifica così come La montagna magica è uno dei libri fondamentali dei corsi di Medical Humanities e di medicina narrativa. E la questione è sempre aperta.
Ma non ditemi che questo non è un bellissimo esempio di come la letteratura abbia influenzato la scienza, più che viceversa.
Quanto a me, come direbbe Mann: Zwei Kugeln! Ma sto guarendo.
Segnalazioni!
§ Ho ricevuto la riedizione dell’Evoluzionista riluttante di David Quammen (Raffaello Cortina), la storia di quell’uomo prudente, timido e tormentato che fu Charles Darwin. Bella, me la sto leggendo davvero di gusto.
§ Che cosa pensiamo dei libri che raccolgono articoli usciti nelle pagine culturali di un giornale o di una rivista? Lo ha fatto Rovelli, lo ha fatto Eco, lo ha fatto Odifreddi e anche di Calvino esistono raccolte di scritti non originariamente pensati per un libro. Se però la distanza tra uscita dell’articolo e riproposizione in un libro è breve, io tendo a innervosirmi. Lo so che sbaglio. Ditemi la vostra nei commenti.
§ Domani 15 maggio sarò ospite a Radio3 scienza per raccontare il mio ultimo libro, Tre colpi di genio e una pessima idea - Ascesa e caduta di uno scienziato squinternato. Alle 11.30 su Radio3, e poi su RaiPlaySound, al microfono di Paolo Conte.
Il 18 maggio presenterò lo stesso libro al Salone del libro di Torino con Marino Sinibaldi, che del libro ha fatto una puntata del suo podcast Timbuctù. Consideratelo un invito!
Per contattarmi e propormi cose di lavoro, lezioni o presentazioni dei miei libri puoi scrivermi: silviabencivelli@gmail.com.
Per coinvolgermi in eventi puoi scrivere anche a contact-bencivelli@elastica.eu.
molto interessante!
(apprezzo anche che preferisci anche tu "magica" invece che "incantata"...)
ps, anche io piuttosto infastidito dai libri che raccolgono interventi sulla stampa a distanza di mesi
diverso se si tratta di cose di cento anni fa, chiaro
Buona guarigione e buon Salone! Mi hai ricordato a proposito di tbc che ho da anni in attesa di lettura la Diceria dell'untore. Chatgpt mi informa però che "Gesualdo Bufalino ha escluso esplicitamente di essersi ispirato a La montagna incantata di Thomas Mann per la stesura del suo romanzo"...